Maschere di plastica

Nessuno mi toglierà mai dalla testa che dietro ogni adolescente omicida c’è una famiglia inabile ad esercitare il ruolo educativo. A prescindere dal contesto socio economico, quell’ adolescente omicida potrebbe essere figlio di qualcuno che non è stato in grado di nutrirlo. Ma non di cibo, bensì di cultura, di valori, di spirito.

Che cos’è la cultura? Cosa sono i valori? E la consapevolezza di sé? L’autostima? La capacità di reagire alla vita, alle perdite, alle gioie e ai dolori? L’indipendenza emotiva? La fiducia?
Sono tutti alimenti necessari a una crescita sana, nutrienti indispensabili al consolidamento di una personalità centrata ed equilibrata.
Questi adolescenti omicidi, ultimo dei quali il ragazzo di Afragola, Alessio, vivono un dramma nel dramma, un disagio irreversibile e insanabile derivante dal grande disagio in cui sono cresciuti.

Nessuno mi toglie dalla testa anche un’altra cosa. La ragazzina di 14 anni, Martina, è anch’essa una vittima nella vittima.
Sua madre, a poche ore dalla scoperta della tragedia, ha rilasciato un’intervista al telegiornale come se stesse parlando di un film. Truccata, occhi alla telecamera, ha dichiarato: ” Lo avevo detto a Martina di valutare bene…”

Martina era un bambina di 14 anni. Che cosa avrebbe dovuto valutare? Che cosa ci si può aspettare da una ragazzina di 14 anni? Che sia in grado di comprendere i risvolti più complessi della vita e delle persone che frequenta? Che vita ha offerto questa madre a sua figlia fino a quel giorno? Di cosa l’ha nutrita?
Preferisco non rispondermi.

Ancora una volta, non siamo di fronte a un episodio inspiegabile, a una tragedia inevitabile.
Le cose sono molto più semplici di come le vogliamo vendere a noi stessi.
Vado al sodo e me ne prendo la responsabilità.
I carnefici e anche alcune delle loro vittime provengono da famiglie inette, indegne, disadattate, distanti dai principi basilari che distnguono l’essere umano dalla bestia.
Si tratta di un fatto culturale. I figli omicidi, e talvolta anche le vittime, sono il prodotto finito di gente analfabeta emotivamente e culturalmente.
Gente che non sviluppa consapevolezza e responsabilità, che non si nutre e non sa nutrire altro che con la “plastica”.
Salvo qualche caso di disagio psichiatrico, la plastica è la metafora che più mi riporta alla natura di queste persone.
Anche i loro sogni sono di plastica, il loro modello educativo è di plastica, le loro aspettative sono di plastica, il loro ego è di plastica riciclata proveniente dalla spazzatura di un certo sistema.
I ragazzi lo sentono e non sempre ce la fanno a trasformare le maschere di plastica in progetti di vita.
Piuttosto uccidono o si lasciano uccidere, nell’illusione che la maschera di plastica si rigeneri sottoforma di persona in carne, ossa e anima.

Amen

I commenti sono chiusi.